Considerazioni sull’istituto referendario e non solo.
In questo referendum, oltre al significato tecnico/normativo, era presente un significato simbolico più ampio in riguardo agli orientamenti generali della politica energetica dell’Italia. Se avesse vinto il sì, sarebbe diventato ancora più difficile estrarre idrocarburi, sia in mare entro e oltre le dodici miglia sia anche in terra, da nuovi o da vecchi giacimenti. Per tanti parrebbe un guaio perché la transizione verso un’economia basata sulle rinnovabili non può che essere graduale. Convince questa tesi che in parte ho fatta mia: ancora per molti anni si avrà bisogno di gas e petrolio, e non è che rendendo più difficile l’estrazione di idrocarburi in mare o in terra si aumenta la produzione di rinnovabili, perché le due cose non sono affatto correlate, non c’è un effetto di sostituzione nella loro produzione. Gli incentivi sulle rinnovabili – che hanno comunque un costo notevole – sono un conto, e la rinuncia alle fonti fossili un altro. Qualora si fosse votato per rinunciare a gas e petrolio, in realtà si stava votando per rinunciare a quelli di produzione interna, ma non agli idrocarburi in generale, perché saremmo costretti a importarli in maggiore quantità. Per quanto mi riguarda persuasive ho ritenuto sia la considerazione del direttore della Stampa Maurizio Molinari sia la considerazione del Prof Giulio Sapelli: Storico dell’Economia presso l'Università Statale di Milano, che faccio seguire nello stesso ordine.
«Partecipare alla vita pubblica è una facoltà perché si tratta di una libera scelta: si può essere cittadini a pieno titolo ed optare anche di non andare alle urne, delegando ad altri connazionali scelte di legge e designazione di rappresentanti. Nel caso specifico di questo referendum, trattandosi di un tema inerente allo sviluppo economico mi sento di dire che sarebbe un errore proibire le trivellazioni off shore come lo fu rinunciare al nucleare, tanto più che i nostri vicini francesi hanno fatto altrimenti. Ogni tipo di sviluppo energetico comporta rischi ambientali che devono essere affrontati, discussi e risolti nell’interesse collettivo: per arrivare a tutelare la salute pubblica grazie al ricorso a scienza e tecnologia, non con veti legislativi. Cara Gazzato, la sua lettera descrive una passione nel sostenere le ragioni del «sì» che spiega l’opportunità di tenere il referendum. Altrettanto legittime sono la posizione opposta ed anche l’astensione. In una democrazia matura votare non è un obbligo ma un diritto di cui si può usufruire o no».
«Considero l’istituto referendario molto pericoloso. Se la democrazia rappresentativa è il sistema più adatto per esercitare la virtù dei migliori, la democrazia diretta esalta le virtù dei peggiori. Già il principio ruffiniano della maggioranza (dal giurista Edoardo Ruffini autore de “Il principio maggioritario”, ndr) è pericoloso, se poi lo si lascia scatenare ne derivano gravi pericoli perché le plebi non uniscono mai la maggioranza con la razionalità. A ciò si aggiunge l’avanzare di una mentalità anti-industriale in un contesto in cui l’industria viene venduta ad altri e contemporaneamente vengono allontanati gli investimenti stranieri: si torna così a Luigi Einaudi che ci voleva una nazione agricola-commerciale, mettendo da parte Francesco Saverio Nitti e Pasquale Saraceno che ci hanno fatto entrare nell’industria. Ovviamente è anche una manifestazione della decadenza dell’establishment industriale e la manifestazione non solo della rottura dell’alleanza tra intellettuali e popolo ad opera del partito comunista e del cattolicesimo sociale, ma anche dell’alleanza tra intellettuali e industria, che probabilmente non è mai esistita. In questo caso la gente vota per una generica ideologia ambientalista e neoluddista, non su cosa c’è scritto nel quesito referendario e quali sono le ricadute, questo anche per il lavoro non eccellente dei mass media. Si tratta di decidere su aspetti tecnici sulle concessioni che non sono alla portata degli elettori comuni. In un referendum è facile ed è possibile rispondere a un quesito in cui si chiede di scegliere tra la monarchia o la repubblica, ma su certe cose il popolo non deve poter dire la sua. E’ vero che tutte le grandi democrazie rappresentative si basano sul principio della maggioranza, ma questa deriva plebiscitaria in realtà è solo un segnale della nostra decadenza verso forme di neocesarismo».
Fonti: http://goo.gl/Ts21X4 http://goo.gl/tSMt6U Immagine: http://goo.gl/91hKjj